Da un lato abbiamo una serie che ha fatto la storia del videogioco, con Ocarina of Time che detiene saldamente il titolo di miglior videogioco di sempre, ma che proprio da quell’apice di 12 anni fa, pur tentando con alterne fortune, non è più riuscita a rinnovarsi e rilanciarsi, fossilizzandosi su una serie di stilemi sempre più somiglianti ad una gabbia, i cui confini paiono restringersi ogni anno che passa.
Dall’altro c’è una serie nuova, molto discussa perchè indubbiamente rea di non aver mantenuto le tante promesse fatte sin dai primi annunci, ma che nonostante questo ha innumerevoli pregi, primo fra tutti quello non lasciare indifferenti.
Alle spalle di entrambe troviamo due uomini fondamentali per il videogame che, al di là di occasionali attestazioni di stima reciproca, vengono da due universi differenti e ben poco tangenti ma che per uno strano destino, si sono ritrovati a lavorare su uno stesso genere, lasciando la loro impronta profonda nelle rispettive creature.
Ma pur nel suo essere sostanzialmente un tributo alla serie Miyamotiana per eccellenza (e qui parte la diatriba su quale fra Mario e Zelda riporti maggiormente lo spirito del proprio creatore…) e pur avendo ampi margini di miglioramento in quasi tutti gli ambiti, Fable forse rappresenta anche quella via d’uscita dall’auto-citazione che Zelda non è mai riuscita ad imboccare veramente.
Le due serie presentano diversi punti in comune: al di là del genere di appartenenza –action RPG– e della presenza di minigames, entrambe si caratterizzano per un evidente sforzo verso la massima accessibilità possibile e per un gameplay basato sul rinforzo positivo. La saga Lionhead però, nel suo essere giovane e senza remore abbonda ed esonda sotto molti aspetti con i risultati alterni, tipici di chi lascia libero sfogo al proprio estro ma nel contempo pecca d’inesperienza.
L’esempio più facile forse è quello della famigerata scia dorata, che ci guida da un capo all’altro delle terre di Albion in modo fin troppo semplice: può essere visto -a ragione- come un’amputazione per sanare un graffietto, ma di contro ben esemplifica l’approccio incosciente e spaccone ma anche libero e coraggioso con cui Fable ha affrontato la frammentazione di Albion.
Il simil-GPS in questione infatti è anche e soprattutto un regalo a chi è completamente digiuno di RPG ed esplorazione in un videogame, consentendo a chiunque di vivere la favola narrata senza troppa paura di perdersi; il fatto poi che la scia sia sempre e comunque disattivabile obbliga a considerare come un autentico errore di design dei primi due capitoli la sola assenza di una mappa estesa e leggibile, che infatti è stata inserita nel terzo capitolo (prego cadaunare l’ottima recensione di Fable III da parte dell’ottimo Dollmasterz) senza che a questo conseguisse l’esclusione della suddetta guida luminosa, proprio perchè consente di mantenere comunque una struttura del mondo di gioco più complessa di quella del gioco Nintendo.
Medesima lettura si può dare del teletrasporto, mirato anch’esso a rendere il mondo di Fable il più godibile possibile per qualunque livello d’impegno si voglia dedicargli. Zelda, nel suo essere più rigido, preferisce obbligare il giocatore a correre e ripercorrere le medesime strade, mitigando la noia con una struttura ben più lineare e contenuta: sarebbe impensabile un aspetto “gestionale” simile a quella del gioco Lionhead senza avere la possibilità di spostarsi rapidamente da un luogo all’altro per lavorare, commerciare, gestire immobili o semplicemente curare la propria famiglia.
Il rapporto con i PNG, rappresenta un altro degli aspetti innovativi di Fable, sempre a metà fra una rivoluzione e una promessa non mantenuta, ma sicuramente anche il simbolo delle mancate evoluzioni dalla serie Nintendo.
Per quanto fare rutti e peti in pubblico possa essere una forma d’interazione discutibile, è indubbio che chiunque abbia giocato a Fable abbia perso almeno una minima parte del suo tempo ad intrattenere o intimidire il pubblico, conquistare un/una partner, sposarsi, avere figli, tradire, in una sorta di mini-life simulator: The Sims è ad anni luce di distanza, ma si tratta comunque di una componente di rilievo, perchè si sforza di mostrare i PNG in modo differente dai manichini che da secoli ci vengono propinati come checkpoints utili solo per ottenere quest o informazioni, e in più ci lascia la facoltà di affezionarci e portare avanti relazioni con personaggi che non siano necessariamente quelli previsti dalla trama principale. Più in generale l’idea di Lionhead, nel suo essere monca ma sicuramente fresca, ha il pregio di ampliare lo sguardo dal singolo alla massa, rendendo tutti gli abitanti di una città parimenti interessanti, anche se pur sempre privi di grandi concetti da esprimere.
Ma anche se accessibilità e fantasia sono il mantra di Molyneux e soci, non sono garanzia di un buon risultato: l’eccessiva semplificazione limita infatti la serie britannica su diversi aspetti tra cui il combattimento, basato su un sistema peraltro interessante ma che pecca di profondità, specie se paragonato a quello rodatissimo nintendiano, tenendo anche presente che in Fable è praticamente impossibile morire, una scelta di design che porta sempre con se il rischio di appiattire la sfida. Rischio affrontato, ancora una volta, premendo l’acceleratore a tavoletta: se Zelda premia il giocatore in modo oculato e attento, Fable lo sommerge letteralmente di ricompense, prendendolo per la gola e titillando il narciso che è in ognuno di noi.
Narcisismo su cui si basa tutto lo sviluppo del personaggio, perchè in Fable oltre a poter gestire il vostro aspetto e le tre caratteristiche di base, non sarete mai meno che eroi (o flagelli, a vostra discrezione..) e la distanza fra voi e il popolo sarà via via crescente fino a farvi diventare addirittura i sovrani assoluti di Albion. Ma purtroppo ancora una volta abbiamo un’idea originale e coraggiosa che si infrange contro una realizzazione sotto le aspettative. Il povero Link invece si troverà ancora una volta a svegliarsi per inseguire il suo destino di eroe in un cammino che però, pur sempre simile a sè stesso, sa essere emozionante e coinvolgente.
In Zelda ogni aspetto è calcolato al millesimo, frutto di un accuratissimo bilanciamento raggiunto nel corso degli anni; ma proprio questa calibrazione perfetta è pian piano diventata un’ancora, un punto inamovibile in una struttura sempre più rigida. Il che è un po’ il tema principale di questo nostro confronto: dove Zelda affina Fable osa, dove Zelda ripropone Fable inventa, ma dove Zelda trionfa Fable non può che capitolare.
E così la serie Lionhead letteralmente sparisce se, oltre ai combattimenti, parliamo degli epici scontri con i boss, dei labirintici dungeon e, più in generale, della capacità di farci vivere un’avventura nel senso più letterario del termine. Certo Fable ci prova e in alcuni frangenti ha momenti di autentico genio narrativo, ma nel complesso le gesta del nostro avatar, per quanto epiche e coraggiose, non sono mai riuscite finora a raggiungere le vette di lirismo presenti in ogni singolo capitolo della saga Nintendo, che non avrà lo spirito e l’estro della concorrenza ma, intessendo ad un livello più profondo dell’animo umano, riesce quasi sempre a creare un punto di contatto con chi gioca a prescindere da età o sesso.
Questa è l’esperienza di Zelda, questa è la carenza di Fable.
Quello che realmente colpisce, al termine di questo lungo -e nonostante questo incompleto- confronto, è quanto queste due serie in fine dei conti siano complementari l’una all’altra e perfettamente rappresentanti i rispettivi creatori: da una parte lo humor e la sfrontatezza, lo stile, il coraggio e l’ego tipicamente europei di un uomo e di un gioco che vogliono strafare e per questo spesso deludono, ma che nonostante e grazie a questo non perdono l’entusiasmo per la tanta strada che c’è ancora da fare; dall’altra ci sono una serie ed un uomo che, a prescindere dalla rispettiva importanza storica, dimostrano di avere ancora una conoscenza insuperata dei principi fondanti il videoludo, ma la cui età ha portato con se una quota ormai eccessiva di intransigenza ed immobilismo, di cui peraltro i successori di Miyamoto non sembrano in grado di liberarsi, forse per eccesso di zelo e rispetto.
Con Fable III che ancora una volta non è riuscito a soddisfare pienamente le attese, e con il promettente Zelda Skyward Sword in arrivo, è sicuramente presto per parlare di un avvicendamento al vertice, ma sognare uno Zelda made in Lionhead o un Fable con la supervisione di Nintendo è pur sempre concesso!
[Scritto in origine per InsideTheGame.it]